venerdì 5 aprile 2013

L'uso legittimo della forza secondo il diritto internazionale generale e convenzionale contemporaneo

In seguito agli eventi dell'11 Settembre, che l'Amministrazione Bush ha definito come veri e propri atti di guerra, gli Stati Uniti d'America hanno rivendicato il loro diritto di risposta al terrorismo in tutto il pianeta. Il Presidente Bush ha sottolineato la volontà statunitense di agire unilateralmente per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale, riproponendo il concetto della guerra preventiva. Ha invocato quindi il diritto degli Stati Uniti di agire, insieme ad una "coalizione di volenterosi", per eliminare ogni minaccia alla pace.
Il concetto di guerra preventiva restituisce agli Stati uno ius ad bellum indiscriminato, vanificando di fatto le funzioni pacificatrici del diritto internazionale.Nel XX secolo infatti si era assistito ad una costante evoluzione del diritto internazionale tesa a disciplinare l'uso della forza armata: dal Covenant della Società delle Nazioni, primo tentativo di regolamentare lo ius ad bellum, al Patto Briand-Kellogg del 1928, che condannava il ricorso alla guerra per la risoluzione delle divergenze internazionali, si era giunti alla Carta delle Nazioni Unite del 1945, che fin dal preambolo afferma il divieto di ricorrere alla guerra. La guerra è considerata come un atto incompatibile con gli obiettivi delle Nazioni Unite: i membri devono astenersi dalla minaccia o dall'uso della forza, incompatibile con la prima finalità dell'ONU, il mantenimento della pace. Si può ritenere che tale norma non sia soltanto di natura pattizia, ma sia ormai prescritta dal diritto internazionale consuetudinario: il divieto di aggressione è, secondo alcuni autori, norma di ius cogens, prescrizione di natura imperativa e non derogabile.
La Carta prevede quindi, all'art. 51, un'eccezione al divieto dell'uso della forza: la legittima difesa. Qui si riconosce il diritto di ogni Stato all'autotutela, in caso di attacco armato, in attesa dell'adozione da parte del Consiglio di Sicurezza di misure necessarie al mantenimento della pace. Diritto alla legittima difesa che peraltro decade nel momento in cui le Nazioni Unite abbiano posto in essere le misure necessarie per salvaguardare la pace e la sicurezza internazionale.
Il requisito fondamentale perché si possa invocare la legittima difesa è dunque l'attacco armato contro il territorio di uno Stato, le sue truppe legittimamente stanziate all'estero, navi o aerei militari. L'attacco armato può essere compiuto non solo mediante le forze regolari di uno Stato ma anche mediante gruppi armati non immediatamente riconducibili all'organizzazione politica di uno Stato ma agenti comunque sotto le sue direttive. Secondo la Corte Internazionale di Giustizia, chiamata ad esprimersi sul caso Nicaragua del 1986, è possibile definire attacco armato anche l'invio da parte di uno Stato di bande, gruppi armati, forze irregolari o mercenarie se queste compiono un atto di tale gravità da equivalere ad un attacco armato compiuto da forze regolari.
La reazione ad un attacco armato implicante l'uso della forza deve quindi essere immediata. Frequentemente in dottrina si fa riferimento al caso Caroline del 1837 per affermare che la forza può essere esercitata quando sussista una necessità di legittima difesa urgente, irresistibile, tale da non lasciare altra scelta dei mezzi ed il tempo per deliberare. Il Caroline era un vapore statunitense affondato dalla Marina britannica perché sospettato di trasportare armi ai ribelli canadesi. La legittimità dell'affondamento fu esclusa proprio perché l'azione armata non poteva qualificarsi come l'unica possibile.
L'intervento in Afghanistan del 2001 può quindi configurarsi più come un atto di rappresaglia che come legittima difesa, dal momento che due successive risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, condannando i gravissimi eventi dell'11 Settembre, non autorizzavano né delegavano l'intervento armato. Il requisito dell'inesistenza di mezzi alternativi, una reazione collettiva delle Nazioni Unite ad esempio, non sussiste in questo caso. E' poi difficilmente inquadrabile l'organizzazione terroristica Al Qaeda, individuata come ideatrice e mandante degli attacchi terroristici, all'interno dell'organizzazione statuale afgana. A questo proposito, l'allora Segretario di Stato statunitense Colin Powell riteneva responsabile degli attacchi di New York e Washington non soltanto chi aveva compiuto gli attacchi ma anche chi aveva fornito appoggio. Una circostanza peraltro esclusa dalla sentenza Nicaragua citata in precedenza. In ogni caso le Nazioni Unite hanno recepito le motivazioni che dichiaravano che l'intervento anglo-americano in Afghanistan era stato deciso sulla base del diritto naturale alla legittima difesa come conseguenza degli attacchi terroristici dell'11 Settembre. Il Consiglio di Sicurezza ha quindi legittimato la posizione statunitense, riconoscendole nel caso concreto il diritto di ricorrere alla forza armata.
Del tutto differente l'intervento anglo-americano in Iraq del 2003: la legittima difesa qui non è certamente invocabile non essendovi stato alcun attacco armato proveniente dal regime di Saddam Hussein. Il Consiglio di Sicurezza ha quindi escluso la possibilità di autorizzare una reazione collettiva, ai sensi del Capo VII della Carta, alle minacce alla pace poste dal regime di Baghdad, non essendo stato sufficientemente provato il nesso di causalità. L'intervento in Iraq è quindi facilmente inquadrabile come estraneo al diritto internazionale, non ricorrendo la scriminante della legittima difesa né l'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza.
L'Amministrazione Bush ha invocato il diritto alla difesa preventiva aggirando i limiti posti dall'art. 51 della Carta delle Nazioni Unite. Già nel passato si era sostenuto la legittimità della difesa preventiva come ad esempio dal governo israeliano nella guerra dei Sei Giorni e dall'Iraq per giustificare l'attacco all'Iran nel 1980, così come dagli stessi Stati Uniti per motivare l'intervento a Panama nel 1989. Oggi, in presenza di armi di distruzione di massa, ci troviamo però di fronte alla possibilità di first strike improvvisi e devastanti. E il concetto di minaccia imminente, che considera la mobilitazione visibile di eserciti, flotte e forze aeree in preparazione di un attacco, non è più attuale in presenza di organizzazioni terroristiche o Stati canaglia che non ricorrono a mezzi convenzionali. E' quindi necessario adeguare il concetto di minaccia imminente, che può legittimare l'attacco preventivo, alle capacità ma anche agli obiettivi degli avversari della pace odierni, che sempre più frequentemente, dall'11 Settembre 2001 di New York e Washington all'11 Marzo 2004 di Madrid e al 3 Settembre 2004 di Beslan fino al 7 Luglio 2005 di Londra, fanno ricorso ad atti di terrorismo e potenzialmente all'uso di armi di distruzione di massa.
La riflessione circa i limiti dell'attuale concetto di legittima difesa deve perciò essere discussa dalla comunità internazionale e non può essere invocata unilateralmente da un singolo Stato a fondamento dei propri diritti. Un dibattito più ampio è auspicabile proprio perché la nozione di guerra preventiva scardina il diritto internazionale contemporaneo così come si è evoluto durante il XX secolo.

Nessun commento: