giovedì 18 aprile 2013

I rapporti USA - Europa dopo la II guerra mondiale

La seconda guerra mondiale aveva lasciato il continente europeo diviso in due: come disse Winston Churchill pochi mesi dopo la fine della guerra una "cortina di ferro" separava l'Europa dell'Est da quella dell'Ovest. Sorgevano quindi due blocchi contrapposti, Est e Ovest, attorno ai quali si polarizzerà il sistema delle relazioni internazionali nel secondo dopoguerra fino al crollo dei regimi comunisti: il sistema bipolare della Guerra Fredda.
Nell'immediato dopoguerra gli Stati Uniti d'America assunsero il compito di guidare la ricostruzione del sistema economico internazionale, di fronte al declino delle potenze europee. Nel 1947 il Presidente americano Henry Truman, perseguendo la strategia del contenimento dell'espansione del blocco comunista, varò l'European Recovery Program, una serie di aiuti economici e militari alle nazioni europee che sarebbero passate sotto la protezione degli Stati Uniti, meglio noto come Piano Marshall.
Con la Guerra Fredda quindi i rapporti tra Stati Uniti ed alleati europei si basavano sul comune sentire di appartenenza ad un unico mondo occidentale, il c.d. Free World, il Mondo Libero, di cui gli Stati Uniti erano considerati la potenza leader. L'Alleanza Atlantica divenne il pilastro della politica estera e di sicurezza americana: Berlino era il fronte della Guerra Fredda con il mondo comunista e l'Europa occidentale un alleato da difendere dall'avanzata del blocco sovietico.

venerdì 5 aprile 2013

L'uso legittimo della forza secondo il diritto internazionale generale e convenzionale contemporaneo

In seguito agli eventi dell'11 Settembre, che l'Amministrazione Bush ha definito come veri e propri atti di guerra, gli Stati Uniti d'America hanno rivendicato il loro diritto di risposta al terrorismo in tutto il pianeta. Il Presidente Bush ha sottolineato la volontà statunitense di agire unilateralmente per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale, riproponendo il concetto della guerra preventiva. Ha invocato quindi il diritto degli Stati Uniti di agire, insieme ad una "coalizione di volenterosi", per eliminare ogni minaccia alla pace.
Il concetto di guerra preventiva restituisce agli Stati uno ius ad bellum indiscriminato, vanificando di fatto le funzioni pacificatrici del diritto internazionale.Nel XX secolo infatti si era assistito ad una costante evoluzione del diritto internazionale tesa a disciplinare l'uso della forza armata: dal Covenant della Società delle Nazioni, primo tentativo di regolamentare lo ius ad bellum, al Patto Briand-Kellogg del 1928, che condannava il ricorso alla guerra per la risoluzione delle divergenze internazionali, si era giunti alla Carta delle Nazioni Unite del 1945, che fin dal preambolo afferma il divieto di ricorrere alla guerra. La guerra è considerata come un atto incompatibile con gli obiettivi delle Nazioni Unite: i membri devono astenersi dalla minaccia o dall'uso della forza, incompatibile con la prima finalità dell'ONU, il mantenimento della pace. Si può ritenere che tale norma non sia soltanto di natura pattizia, ma sia ormai prescritta dal diritto internazionale consuetudinario: il divieto di aggressione è, secondo alcuni autori, norma di ius cogens, prescrizione di natura imperativa e non derogabile.

martedì 26 marzo 2013

L'adattamento del diritto internazionale e la tutela dei valori costituzionali italiani


L'adattamento è il processo tramite il quale lo Stato adegua il proprio ordinamento interno agli obblighi di natura internazionale. Lo Stato infatti appartiene contemporaneamente a due ordinamenti diversi: deve quindi rispettare sia gli obblighi che nascono dal diritto internazionale, sia quelli che gli impone il diritto interno. La Corte permanente di giustizia internazionale e la Convenzione di Vienna sui trattati del 1969 hanno confermato che uno Stato non può invocare il proprio diritto interno per giustificare l'inadempimento di un proprio obbligo internazionale. L'adempimento a tali obblighi può quindi avvenire mediante una modificazione del proprio diritto interno da parte di uno Stato.

martedì 19 marzo 2013

La tassazione dei fondi comuni d'investimento


1. Disciplina e natura giuridica dei fondi comuni di investimento
            Il Testo Unico della Finanza (D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58) definisce il fondo comune di investimento come il patrimonio autonomo, suddiviso in quote, di pertinenza di una pluralità di partecipanti, gestito in monte.[1] Il legislatore ha disciplinato - sin dal 1983, con l’introduzione nel nostro ordinamento dei fondi comuni di investimento mobiliare aperti[2] -  strumenti tesi a favorire gli investimenti collettivi in luogo della gestione individuale del patrimonio; successivamente, durante l’ultimo decennio del secolo scorso, la disciplina dei fondi comuni è stata adeguata alle Direttive europee in tema di organismi di investimento collettivo in valori immobiliari[3] fino alla definitiva consolidazione contenuta nel Testo Unico della Finanza.[4]
            Il fondo comune può essere di tipo aperto o di tipo chiuso. Nel fondo aperto, le quote del patrimonio collettivo possono essere sottoscritte o rimborsate in ogni momento. Nel fondo chiuso, le quote possono essere sottoscritte solo nella fase di offerta e rimborsate a scadenze predeterminate; tuttavia è spesso possibile acquistare le quote, successivamente all’emissione, dai sottoscrittori iniziali ovvero venderle, prima della scadenza, a nuovi investitori.